CASSAZIONE CIVILE SEZ. I, 14/08/2020, N. 24204
Viviamo un’epoca in cui il precariato e la disoccupazione giovanile sono ampiamente diffusi. Sono problemi avvertiti non solamente dalle fasce di popolazione più giovane, ma anche dai genitori che, da un lato, assistono quotidianamente le difficoltà dei propri figli a trovare una stabilità lavorativa ed economica, e, dall’altro, sono tenuti a garantire ad essi un adeguato sostentamento.
Ma fino a che punto si può pretendere che un genitore mantenga un figlio maggiorenne abile al lavoro?
Partiamo dal dato normativo: l’art. 337 septies del codice civile prevede che il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni, non indipendenti economicamente, il pagamento di un assegno periodico.
Innanzitutto si osserva che se sussista o meno il diritto al mantenimento, dipende da una scelta discrezionale del giudice che deve decidere, in base a tutte le condizioni che caratterizzano il caso specifico, le pronunce rinvenibili in giurisprudenza sono numerosissime e contengono molte variabili.
Tuttavia, con la recente sentenza n. 24204/2020, la Corte di Cassazione ha riassunto alcuni tra i criteri più significativi da utilizzare come riferimento.
Un primo indice è l’età. Si ritiene che le valutazioni del giudice debbano essere più rigorose tanto maggiore è l’età del beneficiario. Diversamente, il rischio è che si verifichino “forme di vero e proprio parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani” (Cass. 6 aprile 1993 n. 4108).
È stato poi riconosciuto il diritto del figlio ad essere supportato economicamente “nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso formativo, tenendo conto delle sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni” e “avendo riguardo al tempo occorrente e mediamente necessario per il suo inserimento nella società”, compatibilmente con le condizioni economiche dei genitori (Cass. 20 agosto 2014, n. 18076).
Si è, invece, escluso l’obbligo al mantenimento in caso di matrimonio o, comunque, di formazione di un autonomo nucleo familiare del figlio maggiorenne.
Altro criterio fondamentale si fonda sul principio dell’autoresponsabilità. È stato infatti osservato che “è esigibile l’utile attivazione del figlio nella ricerca comunque di un lavoro, al fine di assicurarsi il sostentamento autonomo, in attesa dell’auspicato reperimento di un impiego più aderente alle proprie soggettive aspirazioni” (Cass. 26 agosto 2020, n. 17793).
Bisogna porre, in ogni caso, l’accento sul fatto che non è sufficiente trovare un’occupazione lavorativa per escludere il mantenimento. Essa deve comunque garantire l’indipendenza economica, da intendersi come quella che soddisfa le primarie esigenze di vita ed è in grado di garantire un’esistenza dignitosa.