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Diffamazione: il danno all’immagine deve essere provato?

Cassazione civile sez. III, 18/02/2020, n. 4005

La diffamazione a mezzo stampa è un tema che viene frequentemente affrontato nelle aule giudiziarie, ove devono essere bilanciati il diritto alla cronaca o alla critica da una parte e il diritto all’onore e alla reputazione dall’altra.

L’aspetto sul quale ci vogliamo concentrate è quello del risarcimento del danno all’immagine, alla luce della recente pronuncia con cui la Cassazione ha ricordato i criteri applicabili in materia.

La Corte di legittimità, ribadendo un orientamento ormai consolidato, afferma che il danno all’immagine non discende automaticamente dal fatto illecito (non è “in re ipsa”), ma deve essere provato da chi ne invoca il risarcimento. La dimostrazione del danno può essere offerta anche mediante presunzioni, “assumendo a tal fine rilevanza, quali parametri di riferimento, la diffusione dello scritto, la rilevanza dell’offesa e la posizione sociale della vittima” (Cass. 4005/2020).

Nello specifico, la Corte era chiamata a giudicare il caso di un professionista ingiustamente indicato da un quotidiano locale, quale progettista di una lottizzazione sotto sequestro per via di gravi illeciti, chiarendo che è da considerarsi corretta la decisione che “dimostra di avere preso in considerazione la posizione personale e sociale del soggetto leso, in riferimento sia al profilo oggettivo della violazione commesso, in relazione alla gravità dell’accusa infondatamente mossa, che a quello soggettivo, relativo alla personalità del soggetto offeso e all’incidenza che la notizia falsa aveva presumibilmente avuto in riferimento al contesto sociale e professionale cui si riferiva, collegato a un territorio a forte vocazione turistica, quale è la costa ionica, ove i temi della deturpazione del territorio e della distruzione delle bellezze naturali urtano la sensibilità dell’opinione pubblica e, di riflesso, incidono sulla reputazione di chi in tale campo esercita la professione. Si tratta, quindi, di un giudizio in cui si è tenuto conto di tutte le circostanze allegate per valutare il danno morale derivato dall’illecito, con ragionamento inevitabilmente presuntivo, data la impalpabilità del danno reputazionale, desumibile non solo dal curriculum professionale della vittima della diffamazione, ma da altri rilevanti elementi, correlati al contesto territoriale e sociale il cui il professionista opera”.

Inoltre, le difficoltà degli operatori riguardano la liquidazione del danno all’immagine che, considerata la sua natura non patrimoniale, non è quantificabile economicamente in via immediata.

La valutazione dell’autorità giudiziaria, chiamata a dirimere il caso concreto, deve essere“necessariamente equitativa” (Cass. civile n.13153/2017). A tal fine, uno strumento di indubbia utilità è fornito dalle note Tabelle Milanesi, aggiornate al marzo 2018, che tra l’altro contengono i riferimenti orientativi per la quantificazione del danno patito a causa della diffamazione a mezzo stampa.