CASSAZIONE PENALE SEZ. III, 02/07/2020, N. 25266
In un periodo in cui il tema della libertà e delle violazioni della sfera sessuale è frequentemente oggetto di dibattiti e di controversie ideologiche, la Cassazione è stata chiamata a dirimere una vicenda avente ad oggetto la trasmissione di messaggi sessualmente espliciti a una minore, via WhatsApp, con minaccia di pubblicare la chat.
Il provvedimento in commento è stato pronunciato ad esito di ricorso del difensore dell’indagato contro il provvedimento di custodia cautelare del Tribunale del Riesame. Quella della Cassazione, pertanto, non è una sentenza definitiva che accerta la colpevolezza dell’accusato. È tuttavia interessante, anche per la ricostruzione dei precedenti giudiziari che richiama in motivazione, perché fornisce un importante quadro interpretativo utile anche per fattispecie analoghe.
Ad avviso del difensore dell’indagato, non era possibile ravvisare il reato di “violenza sessuale” (ex art. 609 bis c.p.). Del resto, la “condotta illecita si era limitata all’invio di una propria foto nuda, invitando la ragazza ad un commento, nonchè alla ricezione di una foto della ragazza senza reggiseno”, seppur sotto la minaccia di pubblicare la chat su internet. Non vi era, però, stato alcun “atto sessuale, seppur allo stadio del tentativo, non essendo avvenuto alcun incontro tra lui e la presunta persona offesa”, così come non vi era stata alcuna induzione a pratiche di autoerotismo o altre pratiche sessuali via chat, né alcuna proposta di incontro o di sesso via chat.
La Corte di Cassazione ha invece ritenuto “solida e ben motivata” la decisione del Tribunale del Riesame che affermava che “la violenza sessuale risultava pienamente integrata pur in assenza di contatto fisico con la vittima, quando gli atti sessuali coinvolgessero la corporeità sessuale della persona offesa e fossero finalizzati e idonei a compromettere il bene primario della libertà individuale nella prospettiva di soddisfare o eccitare il proprio istinto sessuale”.
Ha infatti ricordato che, in una situazione assimilabile, era stato qualificato come tentativo di violenza sessuale “il fatto di chi, minacciando – e poi attuando la minaccia – di inviare ai parenti di una donna foto compromettenti scattate in occasione di incontri amorosi con lei precedentemente avuti, tenti di costringerla ad ulteriori rapporti sessuali, non rilevando assenza di qualsivoglia approccio fisico” (Cass., Sez. 3, n. 8453 del 14/06/1994).
In un’altra occasione era stato considerato reato di “atti sessuali con minorenne” la condotta di colui che “richieda nel corso di una conversazione telefonica, di compiere atti sessuali, di filmarli e di inviarli immediatamente all’interlocutore, non distinguendosi tale fattispecie da quella del minore che compia atti sessuali durante una video-chiamata o una video-conversazione” (Cass., Sez. 3, n. 17509 del 30/10/2018).
L’unico aspetto sul quale i Giudici di legittimità non hanno preso una chiara posizione è se il fatto possa essere ritenuto un mero tentativo.