Studio Legale Campiotti Mastrorosa

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Diritto Civile

Assegno di mantenimento: il pagamento diretto del terzo obbligato

Tra le novità introdotte dal D.lgs. n. 149 del 10 ottobre 2022 (c.d. riforma Cartabia) vi è l’art. 473 bis.37 c.p.c. rubricato “pagamento diretto del terzo”. Tale norma ha uniformato la frammentaria disciplina di cui all’art. 8. L. n. 898/1970 -oggi abrogato-, all’art. 156 c.c. ed all’art. 3 L. n. 219/2012, facendo confluire in un’unica disposizione la disciplina riferita al diritto del creditore, al quale non è stato versato il contributo al mantenimento, ad ottenerne il pagamento diretto da parte del terzo.

La normativa previgente appariva disomogenea e mutevole a seconda che ci si trovasse nell’ambito della separazione, del divorzio o del contributo economico disposto in favore di figli nati fuori dal matrimonio. In particolare, precedentemente all’introduzione dell’articolo in commento, per ottenere il pagamento diretto dell’assegno di mantenimento stabilito in sede di separazione era necessario l’intervento del giudice mentre, in caso di divorzio o a tutela dell’assegno di mantenimento per figli di genitori non coniugati, era possibile attivare la procedura stragiudiziale prevista dall’art. 8 L. n. 898/1970.

La novella normativa in parola ha introdotto, dunque, un’unica procedura stragiudiziale analoga a quella di cui all’art. 8 della citata L. n. 898/1970, utilizzabile per dare attuazione a tutti i provvedimenti emessi in materia familiare (separazione, divorzio od afferenti alla prole nata fuori dal matrimonio).

Mediante tale rimedio è possibile ottenere il pagamento dei crediti derivanti dal contributo al mantenimento direttamente da un soggetto terzo il quale, a sua volta, è debitore dell’obbligato inadempiente. Trattasi di tutela avente funzione preventiva: riguarda le sole mensilità future che il terzo è tenuto a versare periodicamente al debitore principale (ad esempio in forza di un rapporto di lavoro o pensionistico) non escludendosi tuttavia le corresponsioni una tantum purché specificamente determinate.

L’iter è il seguente: i) il creditore del mantenimento (stabilito in favore suo o della prole) deve dapprima costituire in mora il debitore inadempiente; ii) successivamente, decorsi trenta giorni dalla costituzione in mora senza ricevere il pagamento, il beneficiario può notificare al terzo il provvedimento -o l’accordo di negoziazione assistita- che dispone l’assegno, con richiesta di versargli direttamente le somme dovute, dandone al contempo comunicazione all’obbligato originario.

Conseguentemente, dal mese successivo a quello della notifica della richiesta di pagamento diretto, il terzo è tenuto a pagare l’assegno sino alla concorrenza delle somme da esso dovute al debitore principale. S’instaura pertanto un vero e proprio rapporto di debito-credito tra il beneficiario dell’assegno ed il terzo tale per cui, laddove quest’ultimo a sua volta non dovesse adempiere al pagamento, il primo potrebbe promuovere azione esecutiva direttamente nei suoi confronti.

Ove al momento della notifica della richiesta il credito dell’obbligato verso il terzo sia già stato sottoposto a pignoramento da altri creditori, è previsto che all’assegnazione e ripartizione delle somme debba provvedere il Giudice della procedura esecutiva (ove il coniuge creditore potrà intervenire) tenuto conto della natura e finalità dell’assegno.

Elemento di discontinuità rispetto alla Legge Divorzile si ha nei casi di credito da rapporto di lavoro, ove il legislatore della riforma ha eliminato il limite della metà dell’importo complessivamente dovuto all’obbligato a titolo retributivo; limite -oggi venuto meno- oltre il quale, a mente della previgente disciplina il datore di lavoro non era tenuto ad effettuare il pagamento diretto al creditore del mantenimento.

Le modifiche introdotte dall’art. 473 bis.37 c.p.c. producono effetto a far data dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente.

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Diritto Civile

Vizi e difetti nell’appalto: termini per la tutela del committente

TRIBUNALE DI VARESE sentenza n. 533/2023

Con una recente pronuncia il Tribunale di Varese è tornato ad esprimersi in tema di appalto, sulle garanzie cui l’appaltatore è tenuto in favore del committente.

L’art. 1667 c.c. enuclea un rimedio di natura contrattuale esperibile nel caso in cui l’opera appaltata, una volta completata, presenti difformità e vizi ovvero sia stata realizzata in violazione delle prescrizioni pattuite o delle regole dell’arte.

Per ricorrere a tale rimedio il committente deve, a pena di decadenza, denunciare le anomalie riscontrate entro sessanta giorni dalla scoperta, nonché – in ipotesi – agire in giudizio entro il termine di prescrizione biennale dalla consegna del bene.

Al fine dell’operatività – o meno – di detta garanzia, riveste fondamentale importanza la distinzione tra difformità, vizi c.d. apparenti (conosciuti o riconoscibili) e vizi c.d. occulti (non riconoscibili): la garanzia, infatti, è operativa nelle sole ipotesi di vizi occulti.

In tal senso, una recente pronuncia del Tribunale di Varese (Sentenza n. 533/2023), ripercorrendo incidentalmente i principi generali in tema di contratto d’appalto, ha affermato, rifacendosi alla maggioritaria giurisprudenza di legittimità, che l’onere di denuncia ex 1667 c.c. è riferibile “ai soli vizi occulti e non a quelli palesi, posto che in quest’ultimo caso il committente, non accettata l’opera, non è tenuto ad adempimenti ulteriori, in quanto l’appaltatore, a seguito della mancata accettazione, può controllare l’esistenza di vizi ed eventualmente provvedere anche alla loro eliminazione”.

Qualora i vizi fossero palesi, dunque, si rientrerebbe del diverso caso di applicabilità dell’art. 1665 c.c., con la conseguenza che il committente potrebbe perdere il diritto alla garanzia se accettasse senza riserve l’opera affetta da difformità o vizi – da lui conosciuti o riconoscibili -, fatti salvi i soli casi in cui le anomalie fossero state in malafede sottaciute dall’appaltatore.

La richiamata pronuncia di merito, infine, ha rimarcato come il termine decadenziale di sessanta giorni inizi a decorrere “dalla percezione del nesso causale tra il segno esteriore del vizio e l’opera” o, in altri termini, da quando il committente matura un apprezzabile grado di conoscenza dei vizi e della loro derivazione causale dall’imperita esecuzione dei lavori compiuti dall’appaltatore.

Con riguardo alla tutela prevista e disciplinata dall’art. 1669 c.c., invece, la speciale garanzia per rovina e difetti di cose immobili integra un rimedio extracontrattuale, contemplato dal Legislatore per finalità d’interesse generale quali la stabilità, la solidità, l’efficienza, la durata dell’opera, la sicurezza e funzionalità degli edifici, nonché da ultimo, ma non per importanza, la tutela dell’incolumità dei cittadini.

I termini individuati dalla norma per far valere la responsabilità dell’appaltatore sono tre, tra loro interdipendenti (nel senso che la responsabilità non può essere fatta valere qualora anche solo uno di essi non sia rispettato): il primo, decennale, attiene al rapporto sostanziale tra committente ed appaltatore; il secondo, annuale, inerisce alla decadenza dalla garanzia, mentre il terzo integra un termine annuale di prescrizione dell’azione decorrente dal giorno in cui vengono denunciati i difetti.

Con riguardo al secondo, annuale, anche in questo caso esso decorre dal giorno in cui il committente raggiunge un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall’imperfetta esecuzione dell’opera.

Il Tribunale di Varese afferma che tale grado di conoscenza può essere immediato se si tratta di difetti palesi (quali cadute, rovine estese, etc..), mentre consegue all’acquisizione d’indagini tecniche in caso di difetti non evidenti.

In entrambe le fattispecie normative richiamate l’onere di provare la tempestività della denuncia grava sul committente (e non già sul costruttore), atteso che essa integra elemento costitutivo del diritto di garanzia e, quindi, rappresenta una condizione necessaria dell’azione.

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Appalti e diritti reali Diritto Civile

I termini per far valere la garanzia per vizi e difetti nell’appalto

CASSAZIONE CIVILE SEZ. II, 16/06/2022, N.19343

La garanzia per i vizi e difetti a cui è tenuto l’appaltatore è regolata da precisi limiti temporali.

La regola generale, dettata dall’art. 1667 c.c., individua due momenti.

Il primo: il committente deve, a pena di decadenza, denunziare all’appaltatore le difformità o i vizi entro sessanta giorni dalla scoperta. La denuncia non è necessaria se l’appaltatore ha riconosciuto le difformità o i vizi o se li ha occultati.

Si può parlare di scoperta, momento da cui decorrono i sessanta giorni, quando “il committente abbia conseguito un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall’imperfetta esecuzione dell’opera, non essendo sufficienti, viceversa, manifestazioni di scarsa rilevanza e semplici sospetti” (Cassazione civile sez. II, 31/05/2011, n. 12030).

La Cassazione ha tuttavia chiarito che “per la piena e completa conoscenza dei vizi e delle loro cause non è necessario che, ai fini della denuncia, sia previamente espletato un accertamento peritale, qualora i vizi medesimi, anche in assenza o prima di esso, presentino caratteri tali da poter essere individuati nella loro esistenza ed eziologia” (Cassazione civile sez. II, 16/06/2022, n. 19343)

Il secondo: il diritto del committente al risarcimento si prescrive se, a seguito della tempestiva denuncia, non agisce contro l’appaltatore entro due anni dal giorno della consegna dell’opera.

La prescrizione invece non opera in un caso particolare, ovvero quanto il committente è citato in giudizio da parte dell’appaltatore (il che spesso avviene per ottenere il pagamento del corrispettivo). Infatti in questo caso il committente può sempre far valere la garanzia, purché le difformità o i vizi siano stati denunziati entro sessanta giorni dalla scoperta e prima che siano decorsi i due anni dalla consegna.

Vi è poi una regola speciale, prevista dall’art. 1669 c.c., che riguarda solo gli immobili: se nel corso di dieci anni dal compimento, l’opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l’appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta.

In questo caso, però, il committente deve agire entro un anno dalla denunzia, pena la prescrizione del diritto.

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Diritto Civile

Limiti alla garanzia per vizi e difetti nell’appalto: l’accettazione delle opere

Ai sensi dell’art. 1667 c.c., una volta terminati i lavori e consegnata l’opera commissionata, l’appaltatore è tenuto alla garanzia per le difformità e i vizi dell’opera.

La garanzia tuttavia non è dovuta se il committente ha accettato l’opera e le difformità o i vizi erano da lui conosciuti o erano riconoscibili, purché, in questo caso, non siano stati in mala fede taciuti dall’appaltatore.

Posto che l’eventuale accettazione può avvenire solo a seguito dell’effettiva consegna, il committente ha il diritto (e il dovere) di verificare la qualità e l’idoneità delle lavorazioni oggetto del contratto, che potrà avvenire anche durante lo svolgimento dei lavori.

È bene evidenziare che l’accettazione può essere espressa, ma anche tacita (o per “facta concludentia”). A quest’ultimo proposito si pensi che se la verifica viene omessa immotivatamente, oppure se gli esiti dei controlli non vengono comunicati entro un congruo termine, oppure se il committente riceve la consegna senza formulare alcun rilievo, l’opera si intende accettata.

Il profilo dell’accettazione tacita è stato recentemente analizzato da parte della giurisprudenza di legittimità, con la sentenza n. 14052 del 2020.

Con la pronuncia citata, la Cassazione ha dapprima distinto i due momenti focali: la consegna, da intendersi come “un atto puramente materiale che si compie mediante la messa a disposizione del bene a favore del committente” e l’accettazioneche “esige che il committente esprima (anche per facta concludentia) il gradimento dell’opera stessa, con conseguente manifestazione negoziale che comporta effetti ben determinati, quali l’esonero dell’appaltatore da ogni responsabilità per i vizi e le difformità dell’opera ed il conseguente suo diritto al pagamento del prezzo”. È seguita poi l’interpretazione dell’istituto giuridico in questione: “l’art. 1665 c.c., poi, pur non enunciando la nozione di accettazione tacita dell’opera, indica i fatti e i comportamenti dai quali deve presumersi la sussistenza dell’accettazione da parte del committente e, in particolare, al quarto comma, prevede come presupposto dell’accettazione (da qualificare come tacita) la consegna dell’opera al committente (alla quale è parificabile l’immissione nel possesso) e come fatto concludente la ricezione senza riserve da parte di quest’ultimo, anche se non si sia proceduto alla verifica”.

Come scritto, i vizi sono quelli palesi cioè quelli conosciuti o riconoscibili dal committente. La riconoscibilità deve essere valutata rispetto al momento della verifica e valutata in base alle cognizioni medie del soggetto che concretamente la effettua (quindi ordinaria diligenza se è un profano, oppure perizia nel caso di un tecnico).

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Appalti e diritti reali Diritto Civile

Quali sono i vizi e i difetti coperti dalla garanzia in materia di appalto?

Ai sensi dell’art. 1667 c.c., una volta consegnata l’opera commissionata, l’appaltatore è tenuto alla garanzia per le difformità e i vizi dell’opera.

Le difformità consistono nella non corrispondenza tra l’opera eseguita e le prescrizioni contrattuali e/o le caratteristiche del progetto consegnato o sottoposto all’appaltatore.

Si parla di vizi in assenza di qualità o caratteristiche, per il mancato rispetto o del contratto o delle regole della tecnica o dell’arte esigibili al momento dell’esecuzione dei lavori. Ad esempio, con sentenza 25/01/2022, n. 2226, la Cassazione ha affermato che “l’accertamento dell’eventuale responsabilità per un vizio inerente all’isolamento acustico deve essere attuato tenendo conto delle norme tecniche di insonorizzazione degli edifici e dei canoni tecnici sulle sorgenti sonore suggerite dalle ordinarie regole dell’arte”.

È utile ricordare che, ai fini della garanzia prevista dal citato articolo, i vizi e le difformità devono avere un grado minimo di apprezzabilità, posto che non esiste e non si può pretendere la perfezione. Non a caso, particolarmente in ambito edilizio, sono spesso stabilite delle tolleranze di lavorazione all’interno delle quali l’opera può dirsi compiuta a regola d’arte.