CASSAZIONE PENALE, SENT. 03/05/2024 N. 17656
Il comma uno dell’articolo 572 del Codice Penale recita: “chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni”.
Si può considerare violenza ogni forma di abuso di potere e controllo (manifestabile come sopruso fisico, sessuale, psicologico, economico, violenza assistita e di matrice religiosa), volta a costringere altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa.
Le varie forme di violenza possono essere manifestate isolatamente o, come più spesso accade, congiuntamente.
La Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata (Cass. Pen. n. 17656/2024) sulla differenza intercorrente tra una lite familiare ed il reato di maltrattamenti familiari.
Ciò che qualifica una condotta alla stregua d’un maltrattamento familiare di cui all’art. 572 c.p. è – valutato un (necessario) quadro di insieme – che i reiterati comportamenti, anche solo minacciati ed operanti a diversi livelli (fisico o psicologico o economico), siano volontariamente preordinati a ledere la dignità della persona offesa, ad annientarne pensieri ed azioni indipendenti, a limitarne la sfera di libertà ed autodeterminazione, a ferirne l’identità di genere con violenze psicologiche ed umiliazioni.
Per verificare in concreto, quindi, se ricorra – o meno – la fattispecie delittuosa è necessario esaminare e valorizzare se la relazione sia connotata da una asimmetria, di potere e di genere, di cui la violenza costituisce la modalità più visibile: in presenza di un soggetto che impedisca ad un altro, in modo reiterato, (persino) di esprimere un proprio autonomo punto di vista se non con la sanzione della violenza, della coartazione e dell’offesa, allora la fattispecie sarà da ricondursi nell’alveo del delitto di maltrattamenti familiari.
Ove, invece, le parti siano in posizione paritaria e si confrontino, anche con veemenza, riconoscendo e accettando, reciprocamente, il diritto di ciascuno di esprimere il proprio punto di vista, si avrà riguardo alla fattispecie di liti familiari, non sanzionata penalmente.
Ciò detto, il reato in parola è aggravato (la pena è aumentata sino alla metà) nel caso in cui il fatto sia commesso in presenza (o in danno), tra gli altri, di persona minore.
Sullo specifico punto, la Corte di Cassazione ha ricordato (Cass. Pen. n. 17845/2024) che, affinché operi l’aggravante della violenza assistita, non occorre che le condotte vessatorie realizzate in presenza dei minori abbiano necessariamente il contenuto proprio della violenza fisica, potendo apprezzarsi a tal fine anche quelle verbalmente violente o tipicamente dispregiative che contribuiscono, nella loro abitualità, a dare corpo al contesto maltrattante destinato a fondare l’ipotesi di reato di cui all’art 572 c.p.